Da Idee di "D La Repubblica delle Donne"
Indizi D
di Miguel Benasayag * Filosofo e psicoanalista argentino. Vive a Parigi, dove si occupa di problemi dell'infanzia e dell'adolescenza. È autore di L'epoca delle passioni tristi (Feltrinelli 2004), Contro il niente. L'ABC dell'impegno (Feltrinelli 2005), Elogio del conflitto (Feltrinelli 2008)
Può funzionare una società senza conflitti? Ci illudiamo che eliminare la litigiosità a tutti i livelli sia possibile, che si possa raggiungere un mondo in pace. Combattendola però finiamo per imbarbarirla sia a livello individuale quanto sociale. Questo acuisce il nostro senso di impotenza, e induce a pratiche sociali ancora più inquietanti. La complessità ci paralizza. Per questo abbiamo paura, di tutto. Oggi chiunque non è nella norma, chiunque sia portatore di conflitti, di dubbi, di pulsioni irrazionali, è il nemico. Anche il futuro è diventato un nemico. Questa nuova barbarie nasce dalla volontà stessa di porre fine alla barbarie. L'altro che sentiamo come una minaccia è lo straniero, l'integralista, ma anche il salariato o il funzionario che si oppongono alla disciplina e l'handicappato, l'individuo in qualsiasi modo "deviante". Invece di temere il conflitto dovremmo cercarlo: perché rappresenta la vita. La nostra società lo nega, e lo riduce a uno scontro violento, negativo, da debellare, reprimere. Ma respingendolo si creano solo scontri. Quali legami possiamo mai creare se non sviluppiamo la capacità di tollerare il conflitto, la capacità di non trasformarlo in scontro? Il conflitto è dentro di noi, è nel rapporto con l'altro, è in rapporto alla vita. Non tollerandolo ci condanniamo a uno scontro permanente. Eppure bisognerebbe guardarlo in chiave positiva: capire cosa farne, cioè entro quali limiti esso può manifestarsi e con quali mezzi deve essere affrontato. Contestare, trasgredire, mettere alla prova sono azioni necessarie alla crescità della società: oggi invece contestatori e giovani vengono repressi, i primi con il controllo e l'ordine, i secondi con l'angoscia e la paura. Chi corre un rischio oggi è una persona pericolosa, chi trasgredisce è un terrorista. E nessuno più esplora il mondo. In ogni epoca della vita dell'uomo c'è stato bisogno dei giovani e dei contestatori, per esplorare il mondo: oggi le persone che si prendono il rischio di farsi male, di morire, di ferirsi, ma anche di cambiare qualcosa che non va, sono scomparse. E la loro energia che da sempre rigenera la società è scomparsa. Per questo ci irrigidiamo e viviamo con la paura di varcare dei confini, col terrore di esprimere un dissenso, e interiorizziamo i conflitti inespressi. Si vive asserragliati, senza pulsioni forti: invece perché non immaginare che un problema sia anche qualcosa di positivo?
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