Le aggressioni di Roma, Torino e Milano. Ma anche giuramenti e codici d'onoreSono le nuove gang, dove i ragazzi italiani si mescolano ad asiatici e sudamericani
La guerra multietnica delle giovani bande
di PIERO COLAPRICO
Sino alla tragedia: "Una mattina ero alla stazione, perché andavamo fuori città, a un raduno della nostra Nazione, come ci chiamiamo. Suona il telefono, c'è uno che piange, mi dice che hanno ammazzato "Boriqua"". E cioè David Stenio Betancourt Noboa, 26 anni, ecuadoriano: il Rey, e cioè il capo dei Latin King New York. Era l'aprile scorso, il re usciva dal Thini Cafè, nella zona tra via Brembo e via Nervesa, e a colpirlo sono i rivali, i Latin King Chicago."Vado all'obitorio - continua Ryu, ancora emozionato - e l'ho visto, aveva le mani nelle tasche della felpa. L'hanno preso a tradimento. Era stato in carcere, ma voleva la pace tra i vari gruppi. Poi le tv ci hanno dipinto quasi come assassini seriali, ma la realtà è che Bouriqua aveva detto basta alla violenza". I sociologi di "Codici - agenzia di ricerca sociale" confermano, così come la seconda sezione della squadra Mobile di Milano, che ha acchiappato gli assassini di Bouriqua. E ha collaborato anche all'arresto dei dominicani che tre settimane fa, in via Padova, hanno ucciso un egiziano.Anche questa storia andrebbe, almeno in parte, rispiegata fuori dai luoghi comuni. I latinos erano stati tutto il giorno a spasso, avevano un appuntamento con un manager musicale e sul bus stavano ascoltando i loro "pezzi". Erano eccitati e contenti, con la speranza di un contratto in serata, quando il giovane, che poi sarebbe morto, gli ha ordinato a brutto muso di smetterla. Non c'era alcuno scontro tra africani e latini, la lite scoppia tra chi era felice e chi non sopportava le risate. E - come succede sempre più spesso, ovunque, tra giovani "depoliticizzati", in cerca di emozioni da film noir nelle discoteche, nei parchi, nelle piazze - sono spuntati i coltelli."Io - continua l'italiano Ryu - non sto dicendo che siamo santi, però è sbagliato descriverci come emarginati. Prova a pensare. Siamo meglio noi, che abbiamo un codice, o quei ragazzi di buona famiglia, perfettamente a posto, che a Milano hanno massacrato un barbone perché ne hanno schifo? Esiste una violenza notevole, in questi anni, e sono le bande che la tengono a freno. È l'esatto contrario di quello che si dice. E guarda che ti parlo con sincerità. Per un po' ho curato una discoteca dei Latin King nella zona di corso Como. Beh, ero alla porta, per evitare i casini, e facevo le perquise. Ho trovato coltelli nelle mutande, negli stivali, dovunque, ma averli non è come usarli".Il fenomeno delle "Pandillas", le bande, nacque a Genova, perché qui a metà degli anni '90 approdano dall'Ecuador migliaia di donne con figli al seguito e senza mariti. I ragazzi, senza controllo, ritrovano un'identità nella banda. Nel 2003 la prima maxi operazione della polizia porta una decina di arresti e individua otto baby gang e nel 2006 viene firmata una storica pace tra Latin King e Nietas (portoricani) con i capi venuti espressamente dal Sudamerica e dagli Usa. In ogni città, comunque, le spedizioni punitive non finiscono. Basta accennare con le mani al gesto di una "corona rovesciata" per togliersi il rosario e andare all'attacco.Un censimento, per difetto, indica in un migliaio i ragazzi nelle gang in Italia, concentrate soprattutto a Milano, Genova, Torino, Roma, Napoli. Milano è la "città madre", dove tutti passano e trovano rifugio, e a parte i Latin King (ecuadoriani), i Comando (peruviani), i Nietas, presenti ovunque, ci sono Trinitarios (domenicani), i salvadoregni Ms (Mara Salvatrucha, occhio ai "18" più che ai "13", i primi riconoscibili dal tatuaggio di tre carte da gioco con il sei), poi i filippini riuniti nella gang "Ghetto", più i tanti italiani, come i "Napoletani del Corvetto". E se a Milano i paninari e i sambabilini sono scomparsi da decenni, inserendosi qui e là, a Roma i pariolini esistono ancora, così come i Coatti, gli Emo e i Truzzi. A Torino c'è una proliferare di micro-gang, dagli Ottogallery, ai Ninja, ai Vatos Locos (latini), ai Truzzi, alle Gotiche, ai Cabinotti. A Genova resta la roccaforte dei Forever e dei Soldao Latinos. A Napoli sono forti i Nietas, ma anche gli italiani R 601.Ci spiega Paul, un ragazzone dalle spalle larghe e i denti bianchissimi, quale bisogno porta questi ragazzi nelle gang. Fa l'elettricista nella zona di Rozzano, paesone alle porte di Milano ribattezzato con ironia "Rozzangeles". "Avevo undici anni - racconta Paul - quando in Ecuador sono entrato in una pandilla. C'era mio fratello, più grande di me di un anno, e là ho visto cose terribili. Ti mettono anche in mano la pistola, e ringrazio Dio che a me non è successo di sparare. Quando sono arrivato a Milano, ho conosciuto, grazie a una collana, un nostro segno, altri come me. E mi sono inserito subito nella gang. Abbiamo degli obblighi seri, se andiamo a scuola dobbiamo essere promossi, se lavoriamo dobbiamo essere stimati. E le donne della gang non sono zoccole, devono vestirsi senza volgarità, e l'aborto è proibito, ci devi pensare prima". Perché entrare nella gang? "Mio padre e i suoi fratelli bevevano, ho imparato le regole della vita grazie alla banda, sono tra amici, non ho mai sgarrato". Ora Paul è papà, lavora, ed era un pezzo grosso, piuttosto temuto.Sarebbe però un errore strategico, non solo politico, ritenere le gang un feudo esclusivamente straniero. Se a Torino si sente dire: "Ci sono dei cabinotti da asciugare, diamoci da fare", attenzione. La frase ha un significato: "cabinotti" sono i ragazzi vestiti da ricchi e "asciugarli", preferibilmente in due zone del centro storico, sta per rapinarli. E le rapine, le risse, gli agguati, non sembrano finire mai.
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