"L'amore non c'entra" di Daniele Novara

La violenza contro le donne, che può culminare nel femminicidio, è in aumento nel territorio italiano. L’unica forma di violenza in aumento. Si registrano delitti di una grande efferatezza e ferocia, come nel caso di Guardamiglio in provincia di Lodi o di Cosenza, dove addirittura il ragazzo ferisce la ragazza e poi per eliminarla la brucia ancora viva. Si fatica a trovare termini che riescano a esprimere l’indignazione, la tragicità, il dolore che questi fatti provocano non solo nelle vittime, ma in tutta l’opinione pubblica. A fronte di questa escalation davvero impressionante persiste nella comunicazione mediatica il ricorso a categorie sentimentali, nella logica del delitto passionale. Si tratta di delitti che nascono dentro a convivenze, matrimoni falliti, separazioni sentimentali, tentativi di corteggiamento, stalking esplicito, quindi il cronista, più o meno legittimamente, tende a insistere sulla matrice passionale. Mi permetto di eccepire, così come hanno fatto anche tante donne sui mezzi di informazione negli ultimi tempi. La passione, l’amore non c’entrano. Non c’entra neanche la gelosia che pure è un’emozione connessa in qualche modo all’amore. Qui siamo in presenza di brutalità allo stato puro, di un’incapacità totale di gestire le proprie reazioni emotive, di volontà di possesso e di dominio assoluto, come se i corpi fossero una proprietà privata e potessero essere resi in schiavitù perpetua. Sono delitti che nulla possono avere a che fare con la categoria dei sentimenti nobili. Si tratta solo di violenza, legata alla totale incapacità di accedere alla propria coscienza, ma specialmente all’incapacità di tollerare la libertà altrui. Perché l’amore è prima di tutto libertà. Occorre agire rapidamente perché ci troviamo in presenza di una situazione esplosiva. Soggetti a rischio, di questo tipo, ce ne sono tantissimi, a volte si trovano anche sui siti internet che cercano con spavalderia di adescare le proprie vittime. Occorre agire rapidamente su due versanti. Quello educativo, con una sana educazione affettiva, sentimentale, sessuale che aiuti i ragazzi e le ragazze, a riconoscere, a distinguere fra l’amore e la barbarie del possesso, della violenza, della crudeltà. Occorre essere molto chiari su questo, non lasciare nessun margine al dubbio, perché la mia impressione è che nell’opinione pubblica i dubbi restano ancora e sono in tanti - fra le righe - a pensare che ogni mezzo sia lecito per difendere il proprio presunto oggetto del desiderio. Occorre anche su un piano più generalizzato, non solo educativo, attivare dei processi di alfabetizzazione al conflitto che aiutino le persone a stare e a reggere emotivamente le contrarietà. Bisogna che impariamo a riconoscere e vivere le oppositività reciproche come momenti normali, e a volte anche fertili, della relazione, distinguendole dalla violenza proprio per poter imparare a difendersi dalla violenza stessa. Continuare, come a volte si fa, a scambiare e mescolare litigi e violenza rischia di confondere e mettere in serio pericolo chi, pur convinta o convinto di fare la cosa giusta, magari ha invece purtroppo trovato il suo carnefice.

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